Lo sguardo accogliente - Fotografie da Pompu

Sono andato al di là del furore ho scoperto
il passo accogliente. Oggi io posso oso
M’abbandono alla strada senza timore compito
la salita le curve. Un sogno si dischiude.
Mi ritrovo nel murmure che non finisce mai
Il vento e solo il vento mi porta dove io voglio.
Tutto è bello quello che s’apre oggi al mio passo.

Attilio Bertolucci

Ci sono paesi che galleggiano nell'irrealtà, nella poesia quasi; luoghi citati talmente tante volte, usati per antonomasia per indicare suggestioni, spaesamenti, ricerche.
Pompu è uno di questi: utilizzato in molte frasi idiomatiche, talmente noto da apparire immaginario, epico.
Il nome sembra derivare dal latino pompa, ‘processione’: nell’antichità era consueto il pellegrinaggio al santuario di santa Maria di Monserrato, attorno al quale si instaurò una comunità di fedeli, custodi della chiesa e preparatori della pompa da cui si formò il primo nucleo abitativo con il nome di pompesi.
È interessante notare come tutto qui sembri indicare una transizione, un percorso, un attraversamento di cui proprio il nome è matrice iniziale e più esplicita: glorifica se stesso nell'attesa e nel movimento, nella prassi meditativa e contemplativa di uno spazio esterno che diventa specchio di una dimensione interna.
È tanto, tantissimo. L'indagine sulla sua dimensione contemporanea parte da qui, da questa stratificazione storica dove tempo profondo e dimensione dell'oggi si incontrano e comunicano attraverso livelli tangibili ma spesso non immediatamente percepiti dall'occhio assuefatto. È per scardinare l'abitudine del pensiero e la pigrizia dello sguardo che interviene investigazione e il racconto fotografico che si attarda sul margine, fisico e metaforico, inteso come “orizzonte degli eventi”, soglia del divenire e del mutare, limite che ascolta il passato ma anche confine che costruisce il futuro.
Emanuela Meloni decide di fare proprio questo; opera una scelta insolita ma funzionale, secondo me l'unica di senso compiuto: “accerchia” il paese. Lo stana. Come una cacciatrice armata solo dei suoi occhi, gli gira intorno, paziente, attendendo il suo stesso rivelarsi. Adopera la fotografia come rito sciamanico che unisce terra e cielo, che rende concreto l'astratto e visibile l'invisibile; fotografia che registra il nostro attraversamento perché quello che cerca non è l'ovvietà turistica, vuole l'epifania, la rivelazione; la compiuta manifestazione del sé in un contemporaneo proteso verso il suo stesso declinarsi.
Parte dunque da lontano Meloni, dalla storia, da un nuraghe (Santu Miali) presentissimo nell'immaginario ma in realtà difficilmente identificabile: poche pietre emerse che appena sfiorano la terra; pietre che racchiudono l'antico, custodiscono un tracciato. Inizia così, raccogliendo racconti di pietre su cui si stratifica la vita, la storia; pietre che ignoriamo o pietre che curiamo e a cui diamo un senso, una logica, una forma; pietre come residui stellari, sincretismi cosmici o come costrutto sociale, difesa, rappresentanza, guardiane delle transizioni che segnano le nostre giornate, le nostre vite.
Passato/presente, notte/giorno, campagna/città... e ancora luoghi vivi / luoghi abbandonati... Emanuela Meloni si muove tra opposti, insinua l'occhio da fotografa nelle fenditure, negli interstizi silenziosi a raccogliere le briciole del tempo che il vento non ha spazzato via, i granelli di esistenze che passano inosservati.
Ma soprattutto, si attarda a chiedere cosa saremmo se non avessimo contezza del nostro passato, se non provassimo a rimettere in discussione la certezza apparente della nostra identità, se non scoperchiassimo i luoghi comuni e le impalcature fittizie che vendono i luoghi a “basso costo e comprensibilità assicurata”.
Gli scatti di Emanuela nascono tutti in sobrietà, si muovono in levare, in ricercata asciuttezza. La presenza dell'uomo è avvertibile solo attraverso le sue tracce, le pietre che sposta e sedimenta, il paesaggio che modifica e che, a sua volta, lo interroga, chiede conto del suo operato. Sembra guidata da un Dio delle piccole cose, minute, laterali.
Sono scatti silenziosi, di composizione precisa e mai leziosa. E su tutto la regia della luce: dall'alba al tramonto, seguiamo il corso del sole, viviamo un giorno intero a Pompu, ventiquattro ore che si dilatano fino a significare la vita intera. La fotografia di Emanuela Meloni è una fotografia che si spoglia della presunzione della risposta, dell'affermazione, del punto esclamativo per armarsi della difficile arte dell'attesa, della sedimentazione, dell'ascolto, dell'interrogazione perché spinta da reale esigenza di conoscenza.E infatti, dopo averlo atteso così tanto, pazientemente osservato possiamo dire che Pompu appare, si manifesta. Esiste. Forse più di quanto lui stesso immagini.

Sonia Borsato